giovedì 7 ottobre 2010

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Il Miracolo di Zappalà


Zappalà di nome faceva Zeppolino, il papà alla sua nascita volle ironizzare sul suo destino già scritto per condizioni fisiche e sociali, e già che c'era cogliere un'occasione per mandare a fancristi il prete del posto che gli stava sul riproduttore. 55 anni e già 45 di lavoro sul groppone, 165 cm donati con parsimonia dalla natura manco costassero un tot l'uno, in compenso un tronco taurino costruito frequentando assiduamente il bodycenter "raccolta di ortaggi", palestra ecologicamente corretta sita nella piana di Sibari.
Dopo 10 anni di mazzo a tarallo nelle campagne la grande occasione del lavoro al Nord, in una mensa aziendale, 35 anni a lavar piatti, pentole e marmitte e trascinar ramazze sui pavimenti e spugne sui tavoli. Tartagliava un pochino il buon Zap/papa/p/p/palà, poi era timido e discreto, s'impappinava al bancone a riempir piatti dove provava disagio, quindi era contento così, mai rotto le palle a nessuno e guai a mancare di rispetto a quello che faceva, potevi dirgli tutto ma non dire che il suo lavoro era umiliante - Se io non la/lala/lavo e puuu/lisco qua che me/memer/merda vi ma/ma/mmm/mangiate poi voi? - e nessuno aveva da obiettare.
Per il resto mitezza assoluta, i bolli della pensione sudati uno ad uno senza un giorno di malattia. Lo chiamavano tutti Zazzà, anche alla stazione di Lodi, dove ogni mattina arrivava con la bicicletta dal suo rustico in campagna per prendere il locale delle 6:30 e recarsi a Milano. Volle andare a vivere in campagna d'accordo con Concetta, una bella donna napoletana ora più che in carne che mai fu magra, morbida e setosa come un bel guanciale, che aveva trasfuso il suo dialetto anche al marito. 4 figli gli aveva dato Concetta, che sa la miseria come mai erano tutti oltre il metroesettanta femmine comprese, tanto che Zazzà qualche dubbio sulla paternità ogni tanto se lo faceva scappare - Nè Cunce', ma comme caspita è che so' accussì alti 'sti guagliun? - (strano, col dialetto non tartagliava quasi mai) e quella sempre la stessa risposta - Song 'i yogùrt della coop, Zazzà! - e si facevano una risata. Concetta le era sempre stata fedele, e poi Zazzà, oltre ad essere devoto ed affettuoso, era un "trombateur" appassionato di prima categoria, col tarello non falliva una sillaba!

Oggi è un giorno speciale quello che si appresta a vivere Zazzà. In stazione è arrivato alle 8, non c'è fretta di timbrare il cartellino, è appena andato in pensione, tornerà a lavorare la terra, il suo orto stavolta, solo un passatempo, però oggi deve tornare, tutta l'azienda vuole fargli una festa, l'ha chiamato il direttore in persona, quello che alla fine di tutti i turni di mensa di operai ed impiegati andava a mangiare e invitava Zazzà a bere un bel bicchiere di rosso con lui. Che emozione! Prima festa in suo onore della sua vita, mai onorato nemmanco i compleanni se non con una lasagna di Concetta. S'era preparato di tutto punto eppure, arrivato alla stazione e parcheggiata la bicicletta, aveva la sensazione di aver trascurato o dimenticato qualcosa. Quel cambio di orario, la perdita del ritmo abituale, non sapeva cosa ma qualcosa, ormai ne era certo, non era a posto o mancava. Era una sensazione sgradevole.

Per quelle coincidenze che mai troveranno spiegazione, quel giorno alla stazione di Lodi prendeva servizio, primo giorno operativo dopo breve periodo di formazione, il giovane controllore Benito Zelante. Anche il suo nome non era casuale, essendo il padre tra quelli che commemorano i "morti di Salò" e Benito l'Ardito, come voleva farsi chiamare, ne andava particolarmente fiero e persino il parroco, nipote d'arte il cui tonacato zio fu passato e ripassato dai metacarpi partigiani e pure da qualche calcagno, lo battezzò con gran pompa.
Nel suo caso occorre dire che pure il cognome è fatalmente profetico. Fallito in più o meno tutte le iniziative giovanili intraprese sia di studi che professionali, cresciuto al credere/obbedire/combattere, aveva sempre avuto il sogno d'indossare una qualche divisa e di ricoprire un ruolo che portasse ordine in questa società smidollata, come la definiva. Il titolo di terza media non dava grandi opportunità, allora tramite il padre riuscì a fare il corso e finalmente eccolo lì, fiero come una faina, orgoglioso come una pantegana, petto in fuori e schiena dritta manco avesse preso di quarti un palo della luce cadendo dall'alto, il nostro Benito Zelante (guai a chiamarlo con vezzeggiativi!) salire sullo stesso treno testé preso dal buon Zazzà, pronto a fare da diga a qualunque furbetto avesse tentato di svicolare il pagamento del biglietto. Incutere timore e rispetto era il massimo degli orgasmi a lui possibile, essendo ormai ridotto ad una sostanziale impotenza d'origine cerebro-somatica (il prefisso psico per lui è eccessivo), causata dal suo primo ed unico rapporto sessuale che risultò particolarmente traumatico. Benito, causa il chiodo fisso che aveva in piena, ed onanisticamente iperattiva, adolescenza, aveva mal compreso uno dei più famosi motteggi fascisti di sempre, ed era convinto che recitasse: "chi si estrae dalla gnocca è un gran fijo de na mignocca!". Ora, cazzo volesse dire "mignocca" se lo domandava spesso ma si vergognava a chiederlo ad altri, lo riteneva un termine romanesco di scarso apprezzamento verso la di cui madre, ed in fondo non deviava dal significato originale. Non "estrarsi dalla gnocca" era invece di chiarezza cristallina: il rapporto sessofecondativo va consumato per intero, senza borghese lattice d'inframezzo e senza disperdere il seme; pur percependo una flebile incoerenza con le seghe con cui si spellava mani e pimpinello, era un'affermazione di totale, anzi totalitaria, cattocoerenza imperativa categorica. Fatto sta che, come dicono in Albione, one shot one goal (traduzione contestualizzata: 'na trombata 'na ingallata). Fu un casino, Benito ingravò quella gran zoccola della Bice Meretrice, nipote del prete suo quasi-padrino e (voci di paese dicono) quasi-padre della Bice, figlia d'arte, da stragrandissima zoccola concepita. Avrebbero potuto incolpare mezzo paese e circondario del fattaccio, ma lui fu il solo a non negare la copula, e per la vergogna si chiuse in casa per mesi i quali produssero gli effetti di oggi e già li abbiamo detti. Ogni danno che si rispetti è sempre accompagnato dalla beffa e la simpatica Bice, abortito un marzianello di collettiva paternità, mise la favella al servizio del vilipendio per il colpevole Benito, che cessò di essere "l'Ardito" diventando "lo Zito", con chiaro riferimento al Suo spessore, quello virile non quello morale. D'altronde Bice era la cartina tornasole di tutti i cazzi del lodigiano, scoparsela significava confrontarsi coi grandi numeri e quando ella decretava paragoni fra gli attributi dei suoi avventori nessuno dubitava della sua competenza.

Trum trum trum trum... i passi di Benito cogli anfibi chiodati da parà, ben oltre il mocassino d'ordinanza, cominciavano a farsi sentire lungo i corridoi già dal primo vagone. Zazzà, alla carrozza 5 di seconda classe, forse stimolato da quel terremotare del pavimento, finalmente realizza il motivo della sua inquietudine: ha dimenticato il portafogli di finto coccodrillo a casa, e si ritrova in giro senza soldi ma è il meno, senza documenti e già comincia a farsi seria la situazione, senza il biglietto del treno a/r che aveva fatto la settimana prima e qua la faccenda diventa gravissima per un paladino dell'onestà qual lui è.
Trum trum trum trum... cominciano a giungere voci tra i passeggeri su quel trummare marziale e pesante, s'è percepito anche qualche urlo dalle carrozze precedenti. Sul fatto che siano i piedi proditoriamente calzati del nuovo controllore non ci sono più dubbi, su quello che stia combinando invece giungono voci a metà tra il pittoresco ed il violento. Pare abbia già beccato un senegalese provvisto di biglietto non obliterato, cosa che ai beniti-occhi è fin peggiore della mancanza del biglietto stesso, perché vuol dire che sei un furbo, che vuoi viaggiare ad ufo fino a quando un controllore (non lui, mai!) te lo segnerà a penna e sarai costretto a comprarne un altro, sempre quasi in regola. Qualcuno dice l'abbia picchiato, altri addirittura che l'abbia scaraventato fuori da un finestrino tra Tavazzano e S.Zenone. In realtà il giovane africano è sceso mesto mesto a S.Zenone per timbrare ed aspettare il treno successivo per salire, non gli ha procurato nemmeno tutta questa soddisfazione, come sparare sulla croce rossa dal suo punto di vista. Com'è come non è, Benito sta già diventando un Mito, ed ha pure trovato un nuovo sostantivo con cui far rima.
Ci siamo ormai. E' alla carrozza 4 e in questo preciso istante non si sente trummata alcuna, segno che è in quel passaggio tra un vagone e l'altro il cui casino copre il rumore dei suoi scarponi come coprirebbe persino il rombo di un panzer. Zazzà, colpito da un conflitto d'interessi tra il panico e la prostata, deve correre in bagno, non ha scelta, che si trova dalla parte opposta del vagone rispetto a dove sta entrando Benito, che fa in tempo a scorgerlo mentre trafelato entra nella ritirata e subito gli si accende una lampadina d'allarme al zelantissimo Zelante. Un controllo quasi distratto ai pochi passeggeri del treno degli impiegati, perché a quell'ora quella è la clientela, tutti con abbonamenti luccicanti in foderine lux-plexiglass, esercito in giacCamiCravatta, dopobarba all'essenza "che-si-sappia-che-ho-messo-il-dopobarba", gente che Benito rispetta perché dignitosi ed a lui, così il neo-mito ritiene, estremamente inferiori seppur rispettabili perché ordinati, puliti e prevedibili. E quello dal bagno non esce, e sempre là ha la testa Benito - quanto potrà resistere lì? - si chiede, allora agisce d'astuzia, lascia la carrozza ma fermandosi nello spazio tra la 5 e la 6, scrutando attraverso il vetro l'uscita del furbetto dal bagno.

Zazzà esce, da prostata prostrato, da angusti spazi accaldato. Non s'era imboscato, è che urinare a stillicidio richiede tempo. Ehi! - urla Benito - fermo lì non ti muovere! - e tutto il vagone viene travolto dalla sua scossa di collera. Zazzà sobbalza, si gira e vede un incrocio tra un berretto verde ed un balilla, con tracce quasi indistinguibili di divisa ferroviaria, piombargli addosso con occhi spiritati - Che succede, dice a me? - chiede sommessamente - Ah ... Ah ... Ah! - ride Benito, sillabando - fa anche lo spiritoso, certo che dico a lei, mi ha preso per uno stupido? ho visto che s'era nascosto nel bagno e scommetto il busto del dux (mano al cuore ed occhi al cielo mentre Lo cita) che tengo vicino al water che non ha pagato il biglietto, vero? - al che il buon uomo risponde - vero, ma non m'ero nascosto, il biglietto l'ho dimenticato a casa con tutto il portafogli, abbia pazienza, sono 30anni che faccio questa linea ma è la prima volta che ... - ma è come una goccia d'acqua in un altoforno. Taccia! non mi racconti panzane, continua a ritenermi uno stupido mollaccione? ma beeeneeee, quindi non ha nemmeno il portafogli, ma braaavooo, ed immagino che non può perciò pagare il biglietto sovrapprezzato sul treno, e vediamo se indovino: sicuramente non ha nemmeno un documento d'identità! - e con questa Benito aveva sferrato il colpo di grazia, Zazzà aveva capito che non aveva via di scampo e si giocò istintivamente un'ultima carta - senta signor ufficiale - non sapeva come chiamarlo ed involontariamente colpì l'amor ego del Benito che si ammorbidì un po', ma fu solo un attimo - guardi, provi a chiedere sul treno, mi conoscono tutti - peccato che non era il treno che prendeva di solito, se ne ricordò poi, quando già il primo passeggero, interrogato dall'ufficiale di pongo, affermò di vedere quell'uomo per la prima volta, indicandolo con uno sguardo carico di biasimo che umiliò definitivamente l'anziano uomo ormai chino su sé stesso. Non c'era più nulla da fare. Breve telefonata alla PolFer di Rogoredo, dove Zazzà e il suo zelante ufficiale scesero legati, polso destro Zazzà e sinistro Benito, da una corda che il neo controllore s'era portato per ogni evenienza. Prese generalità ed espletate formalità varie, dopo aver attraversato una fiumana di gente ben vestita e dopobarbata dagli orari sconosciuti a Zazzà i 2, sempre legati, prendono il treno che torna a Lodi, perché non fidandosi di quel personale della stazione a lui sconosciuto Benito esige ed ottiene di accompagnare personalmente il signor Zappalà alla polizia di Lodi, che conosce e chiama col cellulare personale - per la Patria ed il suo Onore, sono soldi che spendo volentieri! - dice, parlando a lungo pur di avere la certezza che al suo arrivo 2 poliziotti lo attendano alla banchina e lo accompagnino poi in caserma.

Per quanto breve, il viaggio da Rogoredo a Lodi fu un calvario per il povero Zazzà, ormai incapace di profferire parola e chiuso nei suoi pensieri. Mentre Benito lo gonfia di pistolotti sul dovere civile e sull'importanza delle ferrovie per qualunque stato, tale da meritare il massimo rispetto deferente di ogni cittadino che voglia chiamarsi tale, egli riflette sulla meschinità della sua attuale condizione ed in generale della sua esistenza. Non gli era importato mai niente di nulla, aveva sorvolato su ogni umiliazione, anche adesso se voleva con la forza che aveva in quelle braccia poteva prendere quello stronzo integerrimo di Benito e farne carne macinata per corvi, ma sapeva che poteva solo aggravare ulteriormente la sua situazione. Una vita spesa per il lavoro e la famiglia, la sola forza che aveva era l'onore e la dignità di lavoratore instancabile e cittadino onesto, che per una cazzata da niente stavano per venir distrutte. La festa, la sola della sua vita, era andata a bagasce, nemmeno era riuscito ad avvisare e poi cosa gli avrebbe detto, che era in una specie di stato di arresto per una merda di biglietto da pochi euro? Avrebbe tartagliato con tale ansia da risultare incomprensibile persino a sé stesso. Niente, il solo vero momento di grande gioia professionale, quello dove tanti colleghi che aveva contribuito a nutrire in mensa con igiene e decoro volevano festeggiarlo tributandogli il dovuto onore, era andato perso irrimediabilmente, e certe feste si sa, funzionano quando nascono veloci e spontanee, ogni tentativo di replica sarebbe risultato inefficace. Il giorno forse più bello della sua vita stava diventando un giorno da dimenticare. Ancora non aveva visto il finale, ma già qualcosa d'importante dentro di lui s'era spezzato.
All'arrivo a Lodi ad un orario che la rende colma di studenti al ritorno alle rispettive abitazioni, Benito fa in modo di dare grande enfasi al suo trionfo. Sempre legato a Zazzà che cammina come un cane bastonato, urla fra la folla di sbarbati - Fate largo pregoooo! Faaaate largoooo! - ed ancora, anche qua, nessuno che conosce Zazzà tra la folla, tranne uno dei suoi figli, Alfredo, che aveva accompagnato la fidanzata a prendere il treno per tornare a Casalpusterlengo - Papà papà! Cos'è successo? - Tuo padre pensa che non si debba pagare il biglietto, lo sapevi? - risponde Benito, sempre urlando, e una serie di stronzo, pezzo di merda, carogna cominciano a levarsi dalla folla di ragazzetti, che scherniscono ridendo il brav'uomo che non ha il coraggio nemmeno di guardare in faccia Alfredo, un bravo ragazzo istruito e studioso, fiero ed orgoglioso del padre, per il quale non può trattenere, incredulo, le lacrime per quanto gli sta accadendo. Conservando però lucidità sufficiente a non perdere la testa, Alfredo corre a chiamare il capostazione - Venga subito, la prego, ci dev'essere stato un enorme equivoco, non è possibile che mio padre venga trattato come un ladro voi lo conoscete bene, venite subito! - ed il capostazione, amico del padre di Benito tanto quanto di Zazzà, egli stesso personalmente espostosi per aiutare lo sciagurato a prendere il posto di controllore, non si fa pregare...

Alla stazione di polizia non venne mai portato il povero Zazzà, al quale, per scusarsi, il padre stesso di Benito, fascista sì ma non testa di cazzo come il figlio, offrì personalmente il grugno del proprio erede, pregandolo di ammollargli - 'na pizza di quelle che se la doveva ricordare vita natural durante ogni volta che da quel giorno si fosse guardato allo specchio! - così disse. Ma Zazzà era in condizioni al limite dell'autismo, non sentiva né capiva più nulla, malapena sosteneva il corpo sulle gambe e dovettero accompagnarlo a casa i poliziotti, alla bicicletta pensò Alfredo. Non si fecero invece pregare più di tanto i camerati del padre, fascisti sì ma non teste di cazzo come suo figlio, che conoscevano tutti l'apolitico Zazzà e, anche se lo sfottevano un po' ogni tanto, ne stimavano disciplina e virtù. Oggi Benito il Trito, come lo chiamano, che non si spiega ancora perché a Lodi tutti conoscevano Zazzà tranne lui, ha una mascella spezzata che non è più tornata in asse, il naso suino, schiacciato come da una pressa con due narici deformi che ti guardano dritte negli occhi e cammina col bastone per un colpo di mazza da baseball che gli ha fracassato un ginocchio. Per il resto, da tutti gli altri traumi e fratture, si è ripreso abbastanza bene, ma da Lodi se n'è dovuto andare, dove non si sa e nessuno ha premura di saperlo.

Ci sono uomini che, come Zazzà, forti come tori da corrida, hanno degli Invisibili Fili che tengono unite le parti essenziali della loro moralità che è tutt'uno con la loro fisicità. Sottili ed impercettibili, quasi inviolabili, sono il loro punto debole ma possono essere distrutti solo inconsapevolmente e solo da altri. D'importanza quindi vitale, sostengono un'impalcatura di convinzioni, rigore, danno ordine ad una integrità dell'uomo altrimenti allo sbaraglio, permettendogli di affrontare anche i momenti più duri e penosi con quel minimo di elasticità unita alla fermezza di spirito, ché se non ci fossero, quei Fili, la struttura di un uomo di quel tipo diventerebbe un monolite rigidissimo, e di monoliti di quel tipo ce ne sono, pessime persone che vivono solo di questioni di principio e quattro regole di merda imparate a memoria e poi applicate, gente orribile, non paragonabile a Zazzà, che era un Uomo ricco, possedeva gli Invisibili Fili. E' il caso che decreta chi può spezzare quei preziosi e delicati ricami, non una particolare abilità, ed il caso per Zazzà è stato Benito, uno tra i più miserabili membri della specie umana.
Non si riprese più, nonostante le amorevoli cure di Concetta, la vicinanza dei figli che lo adoravano, persino le premurose attenzioni delle istituzioni locali che un po' per pietà, un po' perché bisogna sempre cavalcare la notizia che ti fa apparire sui giornali, si occuparono del "Caso Zappalà-Zelante" e bisogna ammettere che operarono oggettivamente bene, con discrezione e costanza. Il cuore di Zazzà si fermò irrimediabilmente 10 giorni dopo il fattaccio, senza alcuna possibilità di rianimarlo, era una batteria che aveva perso la ricarica, non c'era energia. S'erano rotti i Fili, Zazzà dentro di sé lo sapeva già durante il viaggio di ritorno da Rogoredo, non c'era una spiegazione logica, quando si rompono si rompono, nessuno li può ricucire.
Il funerale fu curiosamente allegro nel finale, dopo il decoro e lo strazio iniziali. Avvenne una strano fenomeno che ancora oggi gli stessi protagonisti faticano a spiegarsi. Parteciparono spontaneamente, a titolo personale, camerati del padre e gruppi dell'estrema sinistra, tutti presenti per scelta individuale ma poi raggruppatisi nel corteo per legge gravitazionale. Ad un certo momento i fascisti cominciarono ad intonare canti del ventennio, con voci forti e potenti, tra i quali una Faccetta Nera da concorso canoro. Al termine, senza interrompere la prestazione, attaccarono i comunisti con  I morti di Reggio Emilia, solo le prime strofe, ed una O Bella Ciao che strappò applausi a scena aperta. Dopo gli applausi ed un teso momento di silenzio, molti cominciarono a ridere, per l'incredulità, avevano assistito ad una cosa mai vista, e non era finita, cominciarono a ridere anche i membri dei 2 cori spontanei. Non avevano cantato per perorare la loro causa, avevano cantato per onorare Zazzà, con le canzoni che conoscevano meglio, che sapevano cantare con cuore e convinzione, non potevano cantare altro, ed i membri dei 2 cori, prima del resto dei partecipanti, compresero bene questa cosa. Si ritrovarono tutti in osteria, e ci sono ancora le foto appese a muri ed architravi, con camicie nere e camicie rosse che si abbracciano e brindano in continuazione al povero defunto, alla pace della sua anima, sia essa in cielo o polvere in terra poco importa, un qualcosa da chiamare Anima doveva esistere, era la sola spiegazione sensata a quella splendida giornata e serata.

Se vi capita andate a Lodi, è una bella ed accogliente cittadina che merita una visita, e chiedete dell'osteria dove è avvenuto il Miracolo di Zappalà, ve la sapranno indicare tutti.

39 commenti:

  1. Si è vero Lodi è carino, ci sono stato
    un saluto

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  2. ciao Ernest, grazie del saluto che ricambio :)

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  3. Racconto portentoso... Con quel pezzo in napoletano di donna Cuncetta e del suo Zazzà...

    "Addò stà Zazzà... U'maronna miaaaa... Comm fà Zazzà senza Isaia?" ecc.ecc. mi è venuta in mente subitissimo la song.

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  4. eh, la song ce l'avevo in testa pur'io :)
    te lo sei letto tutto? è un po' lunghetto da leggere, deve aver spaventato più di un avventore. ero partito per una cosa breve, poi c'ho preso la mano ed ho pure dovuto mordere il freno...
    grazie per l'attenzione rospo, ciao!

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  5. Il fatto è che mancavano le camicie verdi, quelle credo fossero andate a portare la loro solidarietà a Zelante.
    Bravo.

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  6. Ma-gi-stra-le! (anche se leggermente minato da un pizzico di prolissità, e da una deformazione grottesca che qua e là pare un tantino esagerata persino a uno come me...) :D
    Comunque chapeau.

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  7. grazie a tutti per averlo letto che è lunghetto, per i complimenti, e a Zio anche per le critiche che per altro condivido, ché se le hai spese, conoscendoti, è perché il racconto merita di riceverle.
    mi ha fatto molto piacere :)
    nelle recensioni faccio critiche, analizzo le trame, esprimo giudizi, e per valutare al meglio valore e difficoltà è giusto che mi ci provi io personalmente a scrivere qualcosa, e nei testi abbastanza lunghi, che si vuole scrivere magari sdrammatizzando e magari anche caratterizzando al meglio i personaggi, mantenere equilibrio e continuità è cosa davvero difficile.

    ci riproverò, appena trovo un'idea di soggetto come questa che mi è piaciuta. questo, pensate, è stato frutto del fatto che avevo dimenticato in ufficio l'abbonamento con relativo stress, e poi avevo visto un tizio nel treno che s'imboscava e guardava continuamente se arrivava il controllore. è stata l'ispirazione...

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  8. Tu si che sai raccontare le storie! Complimenti

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  9. ahah! ciao Greg
    vedo che sei rimasto colpito dai contenuti socio-politici del testo, mi fa piacere! :)

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  10. Avevo cominciato a leggere il tuo racconto ma poi ho dovuto desistere,ripromettendomi di tornare quando avrei avuto più tempo.
    Oggi l'ho letto tutto e d'un fiato.
    Scrivi proprio bene,sai Roby?
    Hai proprio "il manico",come si dice in gergo motociclistico... Bravo!
    Come fai poi a vedere 2 film al giorno,recensirli e scrivere (e bene) racconti così lunghi nonostante lavoro,famiglia numerosa ecc per me rimane sempre un mistero.
    Spero che un giorno mi svelerai il tuo segreto! ;-)

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  11. sai che comincio a stupirmi anch'io caro Von?
    per questo racconto il mistero te lo risolvo subito: un po' di appunti su carta presi in treno e nelle pause caffé al lavoro, imbastito un canovaccio così, poi la scrittura m'è costata quasi una notte di sonno... ;-)

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  12. Bella Roby se ti andasse male con l'informatica puoi puntare dritto al cuore della letteratura scritta, ma anche solo parlata ;)
    auahuahuahauahuahauhauahha

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  13. ma figurati steve, non ci campano gli scrittori Veri coi libri, come lo Zio di cui sopra, figurati io... vado meglio con le recensioni :)
    complimenti per aver letto tutto, e grazie.

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  14. Questo post mi piacque molto quando lo lessi, ci ritrovai tanti concetti a me cari, ne cito due, Sibari (un giorno magari scriverò qualcosa su che cosa rappresenta per me Sibari) e De Andrè (il pezzo con quel "non disperdere i seme" è stato secondo me il più bello).
    Non commentai allora, ma l'ho fatto adesso Robi, amico mio, anche per farti il culo dicendoti: "Ma quando cazzo lo scrivi il prossimo post???" Eheheh, scherzo, era solo per dirti che ci manchi!
    Un abbraccio

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  15. ahah! nico, tu ogni tanto vieni a farmi il culo! :D
    hai ragione, un po' è colpa delle recensioni, mi assorbono tantissimo, ma lo sto preparando per ora a mente, "merito" di uno dei miei figli, leggerai... ;-)

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  16. allora un cuore ce l hai anche tu ...bela roby...e GRANDE ZAZZA' ;)

    ps:però ginocchi spezzati mandibolaincrinata naso schiacciato na vera munnezza...unpo di splatter dovevi metterlo :)

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  17. non è colpa mia, mi dichiaro innocente ed umile latore di cronaca vera: Benito Zelante meritava quello ed altro :)

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  18. Caro Roby,
    ammetto di aver tardato a commentare perchè i miei occhietti rifiutavano di leggere un racconto così lungo.
    Ho fatto opera di convincimento, sai che quando mi ci metto son bravina,h e ho convinto le pigre pupille a fare la gimkana tra tante bellissime parole.
    Racconto FAVOLOSO, ho sorriso, riflettuto, mi sono commossa e alla fine ho gioito.
    L'immagine degli Invisibili Fili è poesia pura, come poesia sono gli uomini rari come Zazzà.

    Mi piaci un sacco Ro'..davvero :)

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  19. grazie Grace, molto gentile anche te. :)
    con l'occasione me lo sono riletto, mica me lo ricordo tutto sai? e devo davvero ammettere che mi piace, contiene persino un paio di "errori" ma... non lo tocco, sono un ricordo anche quello, va bene così.

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  20. Ma che bello Roby, ma che bravo Roby! Dove sta Zazzà...bellissimo. Complimenti veramente! Ora cucino in peace!

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  21. Laura, sono molto contento ti sia piaciuto! e ti sarà venuto un mare e monti da concorso allora :)

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  22. sono arrivato a Benito Zelante che arriva alla carrozza 4...dammi il tempo per leggerlo tutto, con la testa libera, gli occhiali giusti, lo spirito aperto e critico, e poi ne parliamo, e parliamo anche di quell'altra cosa, intanto ti mando il libro...e vada, come vada...ciao Roberto

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  23. tutto il tempo che vuoi Bruno! dovevo avvisarti che era un po' lungo... quando vuoi sono qua, ciao

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  24. devi prendere un bisturi o una forbice da potatura e potare amputare senza pietà perchè perde la sua vivacità e diventa farraginoso, in certi punti faticoso da leggere, idea bella storia divertente ma tirata troppo per le lunghe come portare il can per l'aia, mi capisci?
    per il mio libro devi portare un attimo di pazienza..te lo mando appena mi arrivano le copie qui in Sicilia dove lo presento il 26 gennaio a catania...
    ascolta. guarda questo link io questo film non l'ho mai fatto e manco so chi è questo tizio, come mai si inventano dei film "inesistenti"? conosci quel regista? http://www.imdb.com/title/tt0291769/combined

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  25. grazie per averlo letto Bruno, e per il giudizio sincero! :)
    per il libro tutta la pazienza che serve...

    no, non conosco Daniele Pettinari anche se è un cognome che m'è capitato di sentire nella vita ma non ricordo quando né come. il film esiste però a quanto pare. quel che mettono su imdb non è dato dai registi, hanno fonti che non so...

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    1. assolutamente mai fatto un film con Miguel Bosè, lo conosco personalmente, siamo anche amici, ma il film non esiste, è uno che racconta balle...Il film Inganni lo hai visto? http://www.pipernofaccini.it/inganni.html
      Sembra che non sia mai esistito, ed invece sì, è passato sotto tono...e non c'era la grande distribuzione alle spalle, questa la dice tutta ...il film non era male...a presto...

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    2. mai visto né sentito Inganni. sembra molto interessante. provo a cercarlo ma la vedo dura trovarlo

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    3. Se mandi una mail a Luigi Faccini-la trovi nel sito, oppure a sua moglie Piperno, dicendo che hai un blog seguitissimo e ti hanno chiesto di recensire "Inganni" e gli chiedi che ti indichi dove poterlo visionare, allora lui dirà: Beh ma posso mandargli io una copia...( è tanto narciso come tutti gli artisti, daltronde ) e così l'avrai GRATIS Prova. ciao

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    4. ti ho preso in parola Bruno! mail mandata, speriamo bene. l'ho detto anche a Faccini che a guardare la filmografia, i suoi film m'interessano tutti, sinceramente, tra l'altro uno di quelli provai a vederlo, "Nella perduta città di Sarzana", solo che era di una qualità infima e lo cestinai.
      grande dritta, grazie! :)

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  26. Per quanto riguarda la proposta che mi hai fatto, al momento non me la sento di assumermi un tale impegno, sono troppo zingaro e cialtrone...vediamo più avanti che non riesca a trovare un punto fermo una stabilità che al momento non ho, e allora potrei ripensarci...tu comunque vai avanti così che sei molto in gamba e preparato, e affronta a testa alta anche il grande Federico...buona giornata.

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  27. ok Bruno, va bene! sarà affrontato anche Federico sicuramente...
    buona giornata anche a te :)

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  28. Però la storia pur lunga e tortuosa mi ha lasciato una scia...dentro...non è che ruberai il mestiere a Mastronardi?

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  29. oddio... faccio ammenda. sono certo che è un complimento e ti ringrazio, ma non conosco Mastronardi. dammi qualche indicazione

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  30. Ribadisco il piacere espresso dopo Mandalino..
    Ho visto che qualcuno si è un po' lamentato o spaventato per la lunghezza: ti ho letto tutto di un fiato, curiosa, ipotizzando possibili o probabili finali e restandonde scientificamente spiazzata.

    PS. sono partita dai tuoi consigli ma sto leggendo tutto :-)

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  31. be', "amabile irriverente", quelle critiche sulla lunghezza e prolissità arrivano da persone che pubblicano libri, sono stati, diciamo, professionali

    guarda che scrivo solo quando mi vengono rare ispirazioni e ancor più rari (ormai...) momenti di tempo disponibile, non aspettarti in futuro molte altre cose ;)

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    1. Mi godo tutto l'arretrato, allora.
      Il resto lo lascio in parcheggio volentieri!

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