giovedì 29 ottobre 2009

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Tempi che corrono

Ho appena finito di leggere un romanzo biografico sulla vita di Dorando Pietri, il famosissimo maratoneta italiano "quasi" vincitore della maratona alle olimpiadi di Londra del 1908. Famosissimo per il suo drammatico arrivo nello stadio, mentre era in testa, sorretto per qualche istante dai giudici di gara, aiuto che poi gli costò la squalifica e la perdita della medaglia d'oro. Sono immagini, fotografie, indimenticabili che spesso si vedono magari in documentari.

Il romanzo "Il sogno del maratoneta" di Giuseppe Pederiali, merita lettura ed è gradevolissimo. Ispira molte riflessioni e di una di queste volevo discorrere.

Dopo le olimpiadi il "proletario" Dorando, spinto dal fratello, passa al professionismo. Non avete letto male: diventa un professionista del fondo e del mezzo-fondo. Personaggio più famoso dell'olimpiade (e tra i "più" di sempre delle olimpiadi) viene invitato anzitutto negli Stati Uniti, in quella che potremo definire una tournee in piena regola, per disputare una serie di gare in modalità match-race, noi in Italia diremmo sfida-a-due. Pensate che la prima gara, contro Hayes che fu quello che poi vinse a Londra la medaglia a sue spese, vinta ovviamente da Dorando, si svolse in una pista, quella del Madison Square Garden. Non so a voi, ma a me pensare di guardare 2 soli atleti in una pista correre per infiniti giri, 2 ore e mezza circa, oggi, mi pare incredibile. Eppure fu uno spettacolo, pare, entusiasmante, lo stadio pieno a fare il tifo, addirittura fenomeni di bagarinaggio per i biglietti! Dorando ne fece tantissime di quelle gare, in 2, in 3, alcune volte ha corso da solo contro 4 corridori a staffetta.

La fatica, la sofferenza del grande fondo erano lo spettacolo più richiesto. I velocisti, finita la kermesse, erano bell'e che dimenticati. I maratoneti dei divi.
Una differenza coi tempi d'oggi impressionante, quando solo pochi appassionati sanno chi ha vinto l'ultima maratona mentre il nome di Bolt compare ovunque. Non ce l'ho mica con Bolt, anzi mi è molto simpatico, dico solo che se il "mercato" dello spettacolo sportivo premia la potenza, l'esplosività ed il talento mentre dimentica o quasi la fatica, il duro allenamento, la costante applicazione (ed anche il talento ovviamente, questa la sola costante) c'è un motivo, o magari più di un motivo.

Tutto qua. Una piccola riflessione.

5 commenti:

  1. Roberto Bonacci scrive :
    Hai idea di quanto ''poco tempo'' abbiamo oggi per dedicarci anche solo a noi stessi ? La celerità è entrata nella nostra genetica . Purtroppo da un lato , poichè non si ha tempo di assaporare la completezza dell'esperienza , ma dall'altro lato ci ''sarebbe '' la positività di provare più emozioni . Secondo me sta al singolo scegliere quale opzione scegliere . Io personalmente ne faccio una miscellanea , associando il cronos e la psiche .

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  2. non esagero: a mio parere togliere tempo libero, soprattutto per pensare, alla gente è un modo per esercitare potere. discorso buono magari per un prossimo post...

    sicuramente la via-di-mezzo tra velocità e lentezza può essere il giusto compromesso. io prediligo i gusti a lunga intensità invece, quindi tifo per lo slow. :-)

    p.s.: cazzarola roby, ma perché devo leggere i commenti di uno dei miei migliori amici come anonimi? eddaiiii! :-)

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  3. Oggi una cosa del genere non potrebbe mai succedere.
    Nessuno vuole più faticare per vincere e nessuno è disposto ad arrivare fino al traguardo con la sola forza di volontà a sorreggerlo.
    Una punturina, qualche pasticca e via, più veloci e più forti.
    E' questo che fa riflettere.

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  4. pensa che Dorando a Londra, alle famose olimpiadi dove crollò, fu accusato di doping per la spugnetta "sospetta" che teneva in mano. in realtà era imbevuta di aceto balsamico, la usava perché gli odori-di-casa lo aiutavano nell'umore e a sopportare la puzza di quell'inquinatissima città.

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  5. Doping!
    Che furbi! Se veramente fosse stato dopato mica sarebbe arrivato esausto al traguardo!

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