Ci si potrebbe aspettare che mi metta a parlare di adolescenti e dei loro gruppi, forme di aggregazione alle quali, sovente e sempre per ragioni al limite della vita civile ed anche penale, viene appioppato il termine Branco.
Branco: moltitudine d'animali della stessa specie.
Se applico il termine ai bipedi umani, i quali si sentono da sempre superiori agli animali, penso a un insieme di persone inette, che si comportano come animali nel senso dispregiativo della locuzione.
La riflessione che nasce da esperienze recenti è: il Branco non è affatto un fenomeno giovanile.
Qualche esempio noto.
Vuoi fare parte di un partito? Astieniti da eccedere in proposte alternative a quelle del leader di turno, saresti visto come un disturbo se non, peggio, uno che vuole fare-le-scarpe.
Vuoi fare carriera in una grande azienda? Astieniti da troppe critiche, se hai consigli fai in modo che appaiano idee del capo di turno.
Vuoi far parte di una organizzazione religiosa verticistica? Metti insieme un po' delle regolette del partito e della grande azienda e diventerai presto un guru.
Certo, sono luoghi comuni, che ho estremizzato per rendere l'idea.
Me lo posso permettere. Non ho mai avuto tessere di partito, non sono in carriera e manco m'interessa farne
e non faccio parte di organizzazioni religiose.
Nemmeno voglio dire che chi "eccelle" in organizzazioni quali quelle citate sia per ciò stesso un idiota. Certamente una lesione cerebrale che inibisce il senso critico della ragione aiuta e non poco, con questo dicendo che è certo più difficile eccellere se invece di sposare il "pensiero unico" si cerca il dialogo costruttivo o addirittura quello in contraddittorio.
Ecchisenestracatafotte!
Giusto, e infatti quelli sopra sono non-problemi, o quasi.
Il problema, culturale, lo sento nel tempo-libero che dedico a me stesso e alla mia famiglia.
Hai un hobby, una passione, un diletto che t'allieta e cerchi dei simili, compagni con cui condividere quelle gioie della vita che esulano dai doveri di buon-cittadino, buon-papà, buon-marito. Tutto normale.
Finché la cosa rimane a un livello medio-basso di contatti tutto rimane racchiuso alla sfera amicale e quasi sempre il sistema funziona. Però si potrebbe ingrandire la cerchia, perché no?, poi con internet è un attimo farsi conoscere, allora bisogna creare una organizzazione. La voglio limitare questa parola, dopo la cito come "org".
E come la teniamo unita questa org? Con uno statuto, regolamenti, principi deontologici?
Dovrebbe essere così, a volte lo è, nei casi felici che non voglio dimenticare, però oggi sono concentrato su quelli infelici e di quelli voglio parlare.
Allora dicevo, come la teniamo unita la org? Il sistema più semplice si riduce a 2 punti essenziali a mio parere:
1- creare, in giusta misura, dogmi e tabù
2- individuare almeno un nemico comune
DOGMI E TABU'
Regole di Comportamento e di Pensiero che non hanno alcun fondamento, in breve.
Sono fondamentali, anche rituali. Servono a verificare la fedeltà.
"In questo club, fondato per questo-quello-e-quell'altro, scriviamo con la penna rossa e basta!". Si crea il problema delle fotocopie, che non vengono bene. "Le fotocopie sono un segno di decadenza morale e sono bandite dal club!". Problema risolto. Un dogma ed un tabù. "Il primo pirla che scrive con una biro nera lo sbattiamo fuori e che sia d'esempio".
In fondo la Fede non può essere contrastata col raziocinio. Se anche non ci crede il sig. Cinicone s'adegua. Dopo tutto scrivere con la penna rossa non è un grande problema e può godere di tutti gli altri vantaggi, sensati e questi sì che li valuta col raziocinio, che l'appartenenza al Branco (ops, un lapsus!) gli concede e garantisce.
UN NEMICO COMUNE
"Noi siamo quelli che adorano indossare sempre camicia e cravatta!". Un bel club. In cambio sconti presso importanti negozi del settore, consigli come stirare al meglio, apprettare, una coppia di gemelli placcato oro con effige e gadget assortiti.
Situazione d'imbarazzo quando un membro affermato, il sig. Cafonazzi, professionista di golf, viene sponsorizzato da un'importante azienda produttrice di polo e t-shirt ed invitato, per comprensibili ragioni pubblicitarie, ad iscriversi ad un loro club. Il Cafonazzi, da par suo e onorando cotanto cognome, va lì, si presenta come un adoratore delle camicie ma anche, alla facciazza loro, testimonial dell'azienda in questione, onore a loro mai riservato e che, scoprono, concesso ad un membro di quel club dove quei capi d'abbigliamento, al solo nominarli, provocano pandemie d'eruzioni cutanee purulente. Cafonazzi viene quindi immediatamente espulso e rispedito al mittente, senza far mancare poi ai suoi veri compagni una seduta plenaria in cui sputtana, per l'ennesima volta, il club nemico degli indossatori di polo e t-shirt reo, a suo dire, di non avergli concesso un pulpito. Il Branco (ops, altro lapsus!) lo acclama, inutile a dirsi, abbaiando all'unisono con le lingue penzolanti e in sottofondo un te-l'avevamo-detto-che-con-quelli-non-ti-dovevi-ammischiare.
Ma per quale ragione, se mi piacciono le camicie, non posso usare una polo quando vado, ad esempio, al mare? Perché il branco del club dice questo, che quelli che mettono le polo sono degli idioti. Vuoi esserlo anche te? La porta è quella, s'accomodi.
Come mai anche in piccoli gruppi, club, community, dedite a semplici hobby o passioni, si verificano questi fenomeni? Cinicone e Cafonazzi, e varie loro sfumature.
Non ho una risposta, solo una piccola constatazione d'esperienza. Non una causa ma certamente una importante concausa: i leader e/o i vip-member sono sovente persone che, davvero, non hanno un beato cazzo da fare o se ce l'hanno se lo dimenticano, buttano anima e corpo nella org con una disponibilità ed una quantità di tempo irraggiungibile ai comuni mortali, si rendono indispensabili, chiedendo in cambio rispetto incondizionato, talvolta obbedienza, sempre talvolta potere decisionale, sempre e comunque esprimibilità di concetti insindacabili. "Ma come, con tutto quello che faccio, hai la sfacciataggine di controbattere?", una parte del Cafonazzi-pensiero
Sono dei miserabili che cercano in quella org quella affermazione all'ego che nella vita normale gli è, in questo caso giustamente, negata.
Queste cose accadono, esattamente così, e mi fanno una gran tristezza.
Ho letto da qualche parte che essere completamente liberi può generare solitudine. E' vero, almeno rispetto alla possibilità di appartenere ad una comunità, che diventa più complesso anche se, lo dico ottimisticamente, non impossibile.
Libertà: lo stato di chi non è legato, non è prigioniero; in senso politico, lo stato di chi non è soggetto ad un'autorità oppressiva, arbitraria (in opposizione a "oppressione", "sudditanza" e sim.); con sign. più generico, la condizione di chi nella vita di ogni giorno non deve sottostare a controlli o a restrizioni di sorta; lo stato di chi non ha obblighi, legami, ecc.
Stasera mi dovevo sfogare un po' ...
Dedicato a Cafonazzi
Il Sig. Cafonazzi l'ho sempre combattuto con tutte le mie forze, soprattutto quando lo vedo fare capolino in coloro che amo. Nel Sig. Cinicone, ahimé, qualche volta mi riconosco (quando pur di far parte di quel gruppo accetto qualche - piccolo! -compromesso. Se è un gruppo però e non un branco).: Molto bello comunque il tuo post. Hai letto "Il figliol prodigo" di Rilke? Parla, se non ricordo male, proprio della solitudine di chi è completamente libero, della libertà di chi è completamente solo.
RispondiEliminaNon ho letto il libro che segnali ma provvederò a breve. Grazie! Sulla "solitudine" dell'uomo libero lessi qualcosa di Voltaire se ben ricordo.
RispondiEliminaBe' Licia, sei molto sincera, e ovviamente un po' di Cinicone e Cafonazzi l'incarno pure io, ne sono tristemente cosciente. D'altronde, si sa, si comprendono meglio le cose che si possiedono o si sono possedute, che quelle completamente sconosciute, o no?
Ci metto impegno ad evitare che questo lato ignobile si manifesti nei miei comportamenti e, almeno nel tempo libero, ne denuncio le manifestazioni, quando occorre.
Senza esagerare però, non vorrei trovarmi... troppo solo, eheh!
Ciao
Gaber cantava "La libertà no è star sopra un albero, libertà è partecipazione". Sarà. Io penso che per essere liberi bisogna essere soli, e più si è soli più si è liberi. Anche se poi si fa la fine del film "Into the wild".
RispondiEliminaFranco, hai fatto una citazione interessante. Anche a me il messaggio di quella canzone ha sempre lasciato un po' perplesso.
RispondiEliminaCiao
Ci sarebbe anche "Liberi liberi da che cosa siamo noi?" di Vasco :-) Dalle responsabilità verso altri? E' sano essere soli?
RispondiEliminaE' sano essere soli? Be', no! :-)
RispondiEliminaMa se si vuole essere liberi a qualcosa bisogna rinunciare.