E' una riflessione, scritta in forma poetica, indirettamente ispirata dal romanzo "Rudin" di Turgenev, romanzo forse poco noto del famoso autore di "Padri e Figli".
Voglio solo premettere che il Perdente e il Vincente di cui parla il brano sono figure estreme dell'infinita costellazione di tipi che la razza umana è in grado di produrre e che, appunto, la sola ispirazione è letteraria e non vi sono riferimenti diretti alla pur triste attualità di questi ultimi anni, inizio di un XXI secolo affatto pacifico e sereno.
Il perdente
Né scopo né parte,
il perdente non persegue.
Tenace nel nulla, feroce nell'oblio;
slancio, impeto, emozione, poi
si spegne, il perdente.
L'atto creativo l'innalza,
il progettarlo, l'idea;
fuoco d'amore, profumi, ma
è un anti-dio, il perdente
odia la genesi.
Il perdente chiede "Cosa pensi?";
mai chiede "Cosa fai?".
Il perdente non ha corpo,
non vi presta attenzione.
La vita vera è onirica;
La vita terrena è di supporto.
Ha idee pure il perdente, assolute.
La sua mente umile è il suo dio
perché dio è il mondo perfetto,
perché è il solo mondo immortale e,
se un'idea si materializza,
l'idea muore.
Ve ne sono tanti nel mondo, di perdenti,
che non s'innalzano, non cercano e non trovano gloria.
Un perdente lo conosci per caso, e
parlandoci a volte lo vedi, con rammarico,
in te stesso.
Il perdente non è un'ideale,
non è un modello perseguibile.
Si diventa perdenti per caso, per indole
e forse anche per educazione, per cultura.
Però, forse, è un modello interessante
da comprendere ed analizzare.
Ho provato a farne il negativo,
il complementare alle frasi che lo descrivono.
Ne è uscito un vincente indomito,
un uomo che persegue scopi senza sosta,
le cui risorse sono condannate a crescere;
un uomo che produce, retroscena della sua ricchezza,
miseria, antagonismi e guerre.
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