domenica 26 giugno 2005

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Origine del mio nickname: RobyDick



E’ curioso a dirsi, eppure il mio nomignolo (nickname), tanto amato e pensato, in campo internazionale, anglosassone in particolare, suona un po’ beffardo se non volgare. Il termine “dick” è il nodo della questione, perché entrato nel gergo giovanile e non solo, per identificare al limite del volgare l’“organo riproduttivo maschile”, e permettetemi sul mio sito di non specificare oltre. Un mio caro amico italiano che da anni vive a Londra con fidanzata locale, sorride puntualmente, sempre insieme alla sua fidanzata, ogni volta che riceve una mia email o visita il mio sito. Inoltre la parola “dick”, da sola o insieme ad altre a formare un soprannome, ho scoperto di recente non essere accettata in internet, in alcuni siti, come nome di qualcosa. Strano ma vero, visto che Dick è anche usato comunemente per abbreviare il nome Richard, ed è un nome proprio tutt’altro che desueto. Persino il padre della fidanzata del citato amico si chiama così, e la figlia lo chiama Dick tranquillamente, ma in quel caso senza che la cosa provochi risata alcuna. Mah, non so che dire.
Il mio primo nickname fu RobyPoppins, ceduto poi con grande piacere ad una carissima amica. RobyPoppins era effettivamente più adatto a una donna, per l’ovvia ragione legata al personaggio che richiama. Prima di cederlo mi sforzai a lungo di cercare un nickname per l'amica, e ne produssi a profusione, con un’infinità di tentativi tra il serio e il faceto, finché spuntò fuori RobyDick che decisi di tenermelo io, per i tanti richiami che portava. Ne elenco qualcuno:
  • Dick Tracy, grande personaggio di fumetti e film.
  • Moby Dick, straordinario romanzo letto lo scorso anno.
  • Emily Dickinson, la famosa poetessa americana per la quale ho predilezione.
Gli ultimi due li avevo pensati io immediatamente.
Di Dick Tracy me ne parlò l'amica, e ne fui ulteriormente felice vista la natura impavida e incorruttibile dell’eroe investigatore, sempre votato alla causa della giustizia.
Emily Dickinson è una poetessa di straordinaria intensità spirituale, con una capacità di esprimere sinteticamente i confini della razionalità umana nei confronti della spiritualità e del divino, al di là di ogni convinzione religiosa. Le sue poesie le rileggo periodicamente, e dedicarle una pagina nel mio sito, con una breve personalissima antologia, è stato inevitabile. Non le ho copiate, ma le ho scritte a mano, una per una, come una sorta di pegno da scontare per esprimerle gratitudine.
Esco un attimo dall’argomento solo per dire che ho fatto la stessa cosa, cioè riscriverle a mano una per una, per le filastrocche di Rodari, altro mio grande mentore ed esempio, ed è stato proprio riscrivendole che ho imparato meglio io stesso a scriverle, le filastrocche, una delle cose che più mi piace fare. Leggere a un bruto come me non basta, evidentemente. Compiendo l’atto di riscrivere, con un po’ di fatica e di lentezza, ho ripercorso perlomeno l’atto fisico dell’autore, quello psicologico essendomi sconosciuto, e la cosa mi aiuta sempre tantissimo. Ancora adesso, magari solo su un pezzo di carta, riscrivo frasi che mi sono particolarmente piaciute, leggendole qua e là, e non si tratta di un semplice appunto bensì di un modo per meglio fissare un mente un concetto.
Sicuramente il personaggio che più è richiamato dal nickname RobyDick è il famoso capodoglio bianco, protagonista silente dell’omonimo romanzo che Hermann Melville dedicò al suo amico Nathaniel Hawthorn (altro grandissimo scrittore americano): Moby Dick. Questo romanzo, ho notato parlando con amici e conoscenti, è famoso quanto poco letto. La storia la conoscono quasi tutti, per massimi capi, per aver letto magari una versione ridotta tipo favola ai propri figli, o per aver visto uno dei tanti film a lui ispirati, ma il libro per intero, chissà perché, l’hanno letto veramente in pochi. Eppure è un libro di una bellezza incredibile, pieno d’avventura insieme a passi di grande poesia, una meravigliosa metafora di dove l’essere umano si può spingere nel perseguire un obiettivo impossibile, di come proprio questa ostinazione possa essere causa e ragione di vita, pieno anche di personaggi di fascino assoluto che meritano, ognuno di loro, un approfondimento particolare. Tutto questo avviene percorrendo un’esperienza che lo stesso Melville ha compiuto: vivere qualche tempo su una baleniera. Uno dei libri che Deve Essere Letto, secondo me e secondo quei pochi, a quanto pare, che hanno avuto il fegato di affrontarlo (mi viene da dire così). Quando finii di leggerlo quasi mi dispiacque, non per il finale che è epico e degno della storia, ma perché avrei voluto che non finisse mai una storia così bella, magari con un reincarnato capitano Achab in altre spoglie, e via ancora, per i mari di tutto il mondo, alla caccia dell’imprendibile balena bianca.
Il carico di fascino di questo capodoglio, sottospecie delle balene tra le più misteriose ancora oggi, sconfina nell’umano più di quanto si possa immaginare. Simbolo di libertà inviolabile, mai arrendevole e mai bellicoso, mostra anche di saper attaccare per difendersi quando occorre, quando ormai nessun altra fuga è più possibile, diventando un formidabile ariete nei confronti della baleniera che per tutto il romanzo gli da la caccia. Solo ripensando alla storia, che non voglio esaurire nei contenuti per evitare emozioni a chi volesse decidersi a leggerlo, mi viene la pelle d’oca per l’emozione!
Come simbolo ho scelto un delfino azzurro, mammifero marino e cetaceo quanto il capodoglio e più a dimensione umana di questi. I delfini hanno sempre stimolato la mia fantasia fin da quando ero bambino e gli unici documentari del mare che potevo vedere erano quelli del capostipite del genere, quel Jaques Cousteau ancora molto famoso tra i membri della mia generazione. Animale di grande intelligenza, più di ogni altro assomiglia a un uomo che vive però nel mare, ed è forse uno dei rari casi in cui cercare l’uomo in un animale, antropomorfizzandolo come spesso facciamo con altri animali, quelli domestici in testa, non è un grave errore. Le sue capacità così simili a quelle umane sono dimostrate da numerosi fattori, quali ad esempio la capacità di giocare senza necessariamente emulare contesti di vita quotidiana, in modo cioè fine a se stesso almeno in apparenza, ed anche quella, meno nota ma ancor più significativa, di praticare il sesso non solo a scopo riproduttivo. ma anche per mero piacere, caratteristica quest’ultima condivisa con l’uomo e con alcuni tra i primati più evoluti, come gli scimpanzè.
RobyDick è un delfino azzurro, e non potrebbe chiamarsi altrimenti.


5 commenti:

  1. ah infatti ho sempre creduto che avessi tratto ispirazione da Moby Dick :)

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  2. eh be'... cambia solo una lettera :)
    eppure gli anglofoni... mha?!?

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  3. eh si, ma che ce voi fa? , aggiungo questo blog tra i blogs amici (che vergogna ancora non l'ho fatto scuuuusa ) e ti dico che per me è un nick strafico, poi il nick è come un segno di riconoscimento, il mio è arwenlynch mescolando la mia passione per il signore degli anelli in particolare Arwen e david lynch regista che adoro ormai tutti mi riconoscono con questo nick ;)

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  4. grazie! :=)
    eh, quando i nipotini mi chiederanno - nonno, qual'è l'idea più bella che hai avuto nella vita? - gli dirò - un bellissimo nickname figliolo.
    ahah!

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